Un ceppo di legno, tre fori e una lampadina: nasce una lampada da tavolo

Una lampada da tavolo nata da un semplice tronco di legno. Un'idea di design fai-da-te che unisce creatività, materiali naturali e luce in modo originale.

Il legno ha qualcosa che nessun altro materiale riesce a trasmettere. È vivo, imperfetto, pieno di storie. Prova a guardare un vecchio ramo, penseresti mai che possa finire su una scrivania, con una lampadina sopra, a illuminare libri e pensieri? Beh, nemmeno noi di DesignMag, almeno finché non ci siamo imbattuti in queste creazioni che mescolano natura e luce con una semplicità disarmante. Qui non si parla di pezzi costosi o finiture da showroom, ma di un’idea che parte da terra – letteralmente – e arriva a scaldare l’ambiente con una presenza sincera, concreta.

È questo il bello delle cose semplici. Un tronco abbandonato, tre fori messi al punto giusto, un filo elettrico e una lampadina. Fine, o meglio, inizio. Perché da lì nasce un oggetto che non è solo funzionale, ma parla. Dice qualcosa su chi lo ha fatto e su chi ha deciso di metterlo in casa. Minimal? Forse. Ma con un carattere che non ti aspetti. E in un mondo dove spesso si cerca il design nei cataloghi, è bello fermarsi a pensare che, ogni tanto, basta guardare giù, vicino alle radici. Partiamo con il nostro progetto!

Il processo creativo dietro una lampada fai-da-te

Quando si parla di fare una lampada con un ceppo di legno, l’istinto è pensare che servano strumenti strani o competenze da falegname. In realtà no, non è così complicato. Serve un po’ di attenzione e qualche oggetto facile da trovare. Il pezzo centrale è ovviamente il legno. Non parliamo di quello tagliato preciso e trattato, ma di un pezzo vero, magari raccolto in un bosco dopo una passeggiata o recuperato da una falegnameria. Deve essere asciutto, stabile e liscio il giusto. Se ha ancora un po’ di corteccia meglio, dà carattere.

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Il processo creativo dietro una lampada fai-da-te – foto generata con ChatGPT – designmag.it

Poi, basta un trapano, una punta a tazza o una bella punta a spirale di quelle larghe, e puoi forare il tronco per fare spazio alla lampadina. Il foro centrale è il cuore della lampada, quello dove andrà inserito il portalampada. Gli altri due sono un gioco: puoi lasciarli vuoti, infilarci una piantina, una penna o qualche oggetto curioso.

Una volta che hai scavato e ripulito, entra in scena la parte più tecnica, ma sempre alla portata: il portalampada, meglio se E27 che è lo standard per quasi tutte le lampadine decorative. Si infila nel foro centrale, si collega il filo elettrico con interruttore (meglio se in tessuto intrecciato, sta meglio visivamente), e si fa passare sotto o dietro il ceppo, a seconda della forma. Poi un velo di olio o vernice opaca e il gioco è fatto.

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Strumenti giusti e materiali semplici: quello che serve davvero – foto generata con ChatGPT – designmag.it

La bellezza vera è che ogni lampada sarà diversa. Non solo perché il legno non si ripete, ma perché puoi personalizzarla davvero. Puoi bruciare la superficie con una fiamma per dare quell’effetto nero naturale, oppure incidere un nome, una data, un disegno. Se hai un legno d’ulivo avrai venature calde e dense, con la betulla giochi con i contrasti chiaro-scuro, col castagno hai qualcosa di robusto.

E poi dove la metti? Sembra scontato ma non lo è. Una lampada così si adatta quasi ovunque. Sul comodino dà un’atmosfera morbida e naturale. In salotto accanto a una pianta grande, con un tappeto in juta e un divano chiaro, diventa punto luce e oggetto di conversazione. Anche in bagno, vicino a uno specchio, funziona benissimo se vuoi un tocco caldo.

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Il design naturale conquista sempre di più – foto generata con ChatGPT – designmag.it

Riassumendo, una lampada così è sostenibile, non solo nei materiali ma nel pensiero. È economica, perché con meno di 30 euro te la cavi. È unica, perché nessun altro avrà lo stesso pezzo. E, se vogliamo dirla tutta, fa anche la sua figura su Instagram. Sì, è una di quelle cose che le persone fermano a guardare. E la domanda classica è sempre la stessa: ma l’hai fatta tu?

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