Girando tra le “pagine” di DesignMag, mi sono fermata a pensare a una cosa che sembrava ovvia fino a poco fa: l’open space in cucina piaceva a tutti. Pareti abbattute, spazi fluidi, cucina e soggiorno che diventano un’unica cosa. Era il sogno moderno, il simbolo di apertura, di convivialità. Ma ha davvero funzionato per tutti? O ci siamo semplicemente lasciati trasportare da una tendenza che sembrava l’unica via possibile?
Per anni abbiamo rincorso l’idea che più spazio volesse dire più libertà. Cucine aperte per cucinare parlando con gli amici, per controllare i bambini mentre si prepara cena, per sentirsi meno chiusi. Ma a lungo andare, questa apertura ha mostrato anche i suoi limiti. Odori ovunque, confusione visiva, poca privacy. È davvero quello che vogliamo oggi? Forse è arrivato il momento di guardare meglio come viviamo davvero gli spazi.
Quando l’open space stanca: cosa sta cambiando davvero
Un occhio attento avrà notato la nascita di vie di mezzo più intelligenti. Le pareti in vetro, ad esempio, sono una di queste soluzioni furbe. C’è chi le sceglie trasparenti, chi opache, chi con il vetro cannettato, che è quel tipo zigrinato che sfoca ma lascia passare la luce. Non chiudono del tutto, ma aiutano a contenere senza spezzare lo spazio. Le lamelle verticali fanno un lavoro simile: sono leggere, danno ritmo visivo e lasciano intravedere senza mostrare tutto. È come avere un filtro tra due ambienti, che divide ma non isola.

Poi ci sono le cucine con isola, ma non quelle completamente esposte che sembrano sempre in copertina. Qui parliamo di isole più protette, con una spalla laterale che scherma il tutto. Immagina di avere un muretto, una parete bassa, o anche solo una struttura laterale che nasconde la parte più caotica della cucina. Così si mantiene il contatto con il soggiorno, ma si evita che gli ospiti vedano subito i piatti impilati o le padelle sul fuoco. È una soluzione furba, soprattutto se sei uno di quelli che ama cucinare ma non vuole trasformare il living in un’estensione del piano cottura.
Un altro trucco che sta tornando è quello del pass-through. Una specie di finestra interna tra cucina e soggiorno, spesso con una cornice bella marcata, quasi teatrale. Da lì si possono passare piatti, bicchieri, anche solo parole. È un dettaglio che ha un gusto un po’ retrò, viene dagli anni ’60, ma oggi lo si usa con materiali più moderni, più puliti. Aiuta tantissimo a tenere un contatto tra le stanze, ma con una chiara separazione.

Le ante scorrevoli a scomparsa sono un’altra invenzione geniale. Sembrano invisibili quando sono aperte, poi basta un gesto e zac, la cucina sparisce. È perfetta se vivi in un monolocale o in un bilocale dove ogni metro conta. Funziona un po’ come una tenda moderna: se hai voglia di cucinare in relax, la lasci aperta; se vuoi nascondere tutto perché stanno arrivando amici o semplicemente vuoi vedere solo ordine, la chiudi. È pratico, non ingombra, e visivamente alleggerisce lo spazio. Ti dà flessibilità, ed è questo che alla fine oggi cerchiamo.

Un altro trucco per creare separazioni senza costruire muri è quello di usare materiali diversi tra cucina e soggiorno. Non servono confini fisici, basta cambiare pavimento o pitturare un soffitto in modo diverso. Un parquet caldo nel living, una resina più tecnica in cucina. Anche solo un cambio di colore o una finitura diversa può bastare per far capire che lì cambia la funzione. È un linguaggio visivo silenzioso ma che rende tutto più interessante, meno monotono.
Alla fine, quello che funziona nelle cucine semi-aperte è proprio questo equilibrio tra apertura e controllo. Non si butta via il concetto di cucina a vista, ma lo si gestisce meglio. Hai ancora la luce che gira libera, lo spazio che respira, la possibilità di parlare mentre cucini. Ma con meno stress, meno disordine in bella vista, più libertà di chiudere quando serve. È una soluzione che funziona se hai bambini, se ami avere ospiti, o anche solo se ti piace che ogni stanza abbia la sua dignità. Non è più tutto o niente. E questo, forse, è il vero passo avanti.