La direttiva europea sulle case green si avvia all’accordo finale: ecco tutte le novità (e le conseguenze sui nostri portafogli).
Ormai ci siamo quasi. La bozza della direttiva europea sulle case green è stata finalmente approntata, in vista della riunione (forse) definitiva del prossimo 7 dicembre. Come ha spiegato il relatore per il Parlamento europeo, l’irlandese Ciaran Cuffe (Verdi), “il picco di povertà energetica in Europa mostra che solo cambiamenti strutturali proteggeranno famiglie e imprese dalla volatilità dei prezzi dell’energia nel lungo periodo”. Così, nell’ottica della “protezione delle persone, che sono le più colpite dalle bollette in aumento”, è in dirittura di arrivo “un accordo che non solo raggiunga questi obiettivi, ma riduca le emissioni e le bollette”. Cosa significa, nel concreto?
Sì è molto discusso nelle scorse settimane dell’articolo 9 della cosiddetta Epbd (Energy performance of buildings directive). L’iniziale ipotesi di raggiungere la classe energetica E nel 2030 e D nel 2033 è stata superata: si va verso un sistema di regole aperto, nel quale diventa fondamentale il ruolo degli Stati membri, ognuno dei quali dovrà preparare una road map per la riqualificazione del proprio patrimonio immobiliare, misurando il consumo al metro quadrato degli edifici e indicando il numero di unità immobiliari da ristrutturare annualmente. Si tratta di disegnare una traiettoria di progressiva riduzione dei consumi degli edifici di qui al 2050, quando si dovrà tendere all’azzeramento delle emissioni. Parola d’ordine: riduzione dei consumi.
Cosa prevede la nuova direttiva Ue
La direttiva traccia dunque una cornice generale di qui alla metà del secolo, indicando dei traguardi intermedi per misurare il lavoro di efficientamento (dal 2030 in poi ogni 5 anni). Le percentuali di riduzione saranno stabilite a stretto giro. Intanto però la direttiva Ue impone ai paesi membri che «almeno il 55% della riduzione del consumo di energia primaria sia raggiunto attraverso il rinnovo degli edifici più energivori», spiegando che gli edifici più energivori corrispondono a quel 43% di immobili con le performance più basse nel patrimonio nazionale. Per quanto riguarda l’Italia, che conta circa 12 milioni di edifici residenziali (dati Istat), poco menò della metà (5 milioni) sono considerati prioritari.
L’OICE ha intanto formulato alcune stime sull’impatto dell’attuazione della direttiva. Fabio Tonelli, Coordinatore del Gruppo di Lavoro sul Superbonus, ha ipotizzato il costo di un adeguamento alla classe D entro il 2033: “Elaborando semplicemente alcuni dei dati acquisiti con gli attuali incentivi, un edificio tipo costruito negli anni ’80 e ubicato a circa 400 metri sul livello del mare, nell’ipotesi di 5 piani fuori terra, con appartamenti della superficie media di circa 105 mq, il passaggio da una attuale classe G alla classe D porta ad un costo minimo medio di circa 40.000 euro ad appartamento con intervento sull’involucro esterno (pareti, copertura e solaio sottostante al primo piano riscaldato). Con un intervento più organico (infissi, caldaie e impianto fotovoltaico condominiale) se ne dovrebbero aggiungere altri 20.000 circa per appartamento”.