È una sorta di alchimia del terzo millennio ad avvolgere il segreto di un arte in transito sul piano formale; e l’autore di tali opere pittoriche è italiano.
In considerazione degli attuali orizzonti tecnologici, si è portati a pensare che l’artigianalità del fare sarà ben presto riposta in soffitta, priva di un futuro certo, ma soprattutto di una sopravvissuta trasmissione. In fondo, sul lungo termine, il tempo ha da sempre operato forti scremature e nette (o calibrate, a seconda del processo) cesure col suo intrinseco passato, appunto. Migliaia di oggetti simbolo di una cultura, così come di luoghi o mestieri, non esistono più; quasi una delle due facce della medaglia, dove l’altra è rappresentata dalle invenzioni e dalle realtà che approderanno dal futuro.
In tal senso l’Arte costituisce un’istanza che non fa eccezione, ma riesce a viaggiare sulle marose del tempo e della storia grazie alla sua capacità di rinnovamento concettuale (e questo fattore potrebbe davvero preservarla anche nel più tecnocratico ed orwelliano mondo dell’avvenire). Pertanto, in molte città italiane la presenza di storici negozi di belle arti testimonia la oramai resistente pratica artistica, specie se svolta con tecniche e strumenti derivanti dai secoli del colore su tela.
Quadri che si trasformano, il progresso che sa d’antico
La pittura sembra infatti una tecnica marginale nel contesto sociologico e storico del terzo millennio. La concorrenza della innovativa strumentazione digitale dà l’impressione oggigiorno che voglia porgere l’ennesima spallata a pigmenti, pennello e tela, rendendosi espressione istituzionale dell’attuale gusto estetico. Eppure, le grandi e piccoli città del Belpaese offrono continui e sempiterni contributi di una bellezza artigianale, presente tanto nelle migliaia di chiese e basiliche, quanto nei musei; senza alcun accenno di sconfessarne l’apprezzamento.
Ancor più complicato individuare l’artista che traghetterà questa eredità verso un nuovo viaggio tra i posteri. Individuare oggi quel miracolo alchemico del passato che ha portato all’invenzione di particolari colori, innovazione tecniche ed evoluzioni della pratica pittorica, è uno sforzo mentale che si lascia volentieri alla professione dei critici e degli storici dell’arte. Si assiste in nuce all’ascesa della arte NFT, l’arte digitale prodotta dagli elaboratori, con segmenti algoritmi in grado di preservare l’unicità del “pezzo”.
Le tele cambiano volto: ecco chi le dipinge
Non vi è alcun effetto digitale nel cambiamento formale di questi quadri, proprio mentre vengono lavorati e poi osservati. Si sta parlando di opere che, come nel passato, vengono corteggiate da una disciplina per nulla estranea all’arte: la chimica. A confermare questo sodalizio, vi sono le opere dell’artista italiano, anzi l’artista napoletano Francesco Filippelli. 33 anni, sin da quattordicenne entra e lavora in una bottega di pittura; fino alla formazione universitaria in Chimica.
A 18 anni, scopre come “esorcizzare” l’«evanescenza illusoria della realtà percepita». Troppo facile il rimando allo storico conterraneo Principe Raimondo di Sangro, l’alchimista-artista autore della Cappella Sansevero, ma proprio questo spazio ha rappresentato per Filippelli la folgorazione: perfeziona così la tecnica del “Temporama Alchilico“, realizzando i primi sei ritratti in grado di trasformarsi. Spiegare un segreto è impossibile e dunque non rimane che ammirare la sua pittura già apprezzata in molteplici occasioni espositive.