Una sentenza ha ribaltato le regole fiscali per alcuni proprietari di immobili, in particolare per le tasse IMU e TARI
IMU e TARI sono due sigle che non hanno un suono piacevole per i cittadini, soprattutto per i proprietari di immobili. Se la TARI è l’ imposta locale per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, che incide non poco sul bilancio familiare, l’IMU si sa, è forse quella ancora meno simpatica per alcuni, visto che esiste perché si è in possesso di una casa.
L’IMU è stata introdotta nel 2012 come sostituto dell’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili) e ha lo scopo di contribuire alle entrate dei comuni. Si basa sul valore catastale degli immobili e può essere applicata a diverse categorie di proprietà, tra cui abitazioni, terreni edificabili e fabbricati rurali. Le aliquote e le modalità di calcolo dell’IMU possono variare da comune a comune.
L’IMU è applicabile sempre? Tutti i casi previsti
La recente decisione della Corte Costituzionale ha gettato luce su una questione lungamente dibattuta: l’applicabilità dell’Imposta Municipale Unica (IMU) sugli immobili occupati abusivamente o in casi in cui nell’immobile c’è l’affittuario perché la procedura di sfratto va per le lunghe. La sentenza, che ha una portata retroattiva, ha aperto la strada ai rimborsi per gli ultimi cinque anni, riconoscendo la nullità della tassazione in queste circostanze.
L’IMU su immobili occupati da abusivi o in situazioni di indisponibilità era sempre stata oggetto di contestazioni, considerata un’imposizione ingiusta nei confronti di chi non poteva usufruire del proprio bene a causa di complicazioni burocratiche o legali. La legge di bilancio per il 2023 ha finalmente posto fine a questa controversia, esentando totalmente dal pagamento dell’IMU i proprietari di immobili occupati illegalmente, riconoscendo l’inutilizzabilità e l’indisponibilità del bene come motivi validi per l’esenzione.
La normativa si applica dal 1° gennaio 2023, ma la Corte Costituzionale ha esteso l’agevolazione anche ai periodi precedenti al 2023, consentendo ai contribuenti di richiedere il rimborso dell’IMU pagata retroattivamente fino al 2019. Questo significa che gli immobili occupati illegalmente e denunciati alle autorità giudiziarie non devono essere soggetti all’IMU per il periodo in cui permangono tali condizioni.
La sentenza ha inoltre ribadito che la proprietà di un immobile occupato abusivamente non può essere considerata un indicatore di ricchezza per il proprietario, che è stato privato del possesso effettivo del bene. Pertanto, la tassazione in tali circostanze violerebbe il principio costituzionale della capacità contributiva.
Come richiedere il rimborso dell’IMU
Per ottenere il rimborso dell’IMU pagata in passato su immobili occupati illegalmente, i contribuenti devono rispettare alcuni requisiti, tra cui il limite di cinque anni dal pagamento e l’assenza di definizione definitiva dell’avviso di accertamento comunale.
Affinché l’immobile sia considerato idoneo per l’esenzione, deve risultare inequivocabilmente non utilizzabile né disponibile. Questo implica che il proprietario deve intraprendere azioni legali per dimostrare la sua impossibilità di fruire del bene. I due principali reati che giustificano l’esenzione IMU sono la violazione di domicilio e l’invasione di terreni o edifici.
È necessario che il titolare dell’immobile depositi una querela presso l’autorità giudiziaria competente, che può essere la Procura della Repubblica, la polizia o i carabinieri, a seconda della natura del reato commesso. Questo atto rappresenta il primo passo fondamentale per avviare il processo legale volto a proteggere i diritti del proprietario e a dimostrare la sua incapacità di utilizzare o disporre dell’immobile a causa dell’occupazione illegale.
La procedura richiede poi la presentazione di un’istanza al Comune competente, che ha 180 giorni per rispondere. In caso di mancata risposta entro 90 giorni, il contribuente può proporre ricorso. Se il Comune nega il rimborso, il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla risposta negativa.
Inoltre, un’altra riforma significativa introdotta dal Decreto Crescita ha stabilito che i canoni di locazione non riscossi non devono essere dichiarati ai fini dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF) a partire dalla notifica della citazione di intimazione di sfratto o dell’ingiunzione di pagamento. Questo significa che il proprietario non è più tenuto a pagare l’IRPEF sui canoni di locazione non percepiti una volta avviata la procedura legale di recupero dei canoni morosi.