[galleria id=”4669″]Raggiungiamo Roma con voi per incontrare Giulio Cappellini al MAXXINWEB, la serie di appuntamenti con i protagonisti dell’arte contemporanea organizzati da Telecom Italia in collaborazione con il mozzafiato museo MAXXI di Roma. Dalle ore 21 alle are 22 segui il nostro liveblogging e proponici delle domande da sottoporre al celebre designer Cappelli, art director dell’omonima azienda, tra i marchi leader del design made in italy.
Se sei a Roma, la partecipazione all’evento di questa sera 10 Novembre è completamente libera e gratuita, diversamente puoi seguire l’intervento di Cappellini in streaming sul sito MAXXINWEB e intervenire tramite il nostro liveblogging che partirà da qui, oppure attraverso i canali Facebook e Twitter (#maxxinweb) di Telecom Italia.
Presentiamo brevemente il protagonista della serata, l’art director Giulio Cappellini recentemente eletto da Time come uno dei dieci trend setter della moda e del design. Giulio si laurea in architettura nel 1979 e successivamente frequenta la scuola di Direzione Aziendale all’Università Bocconi di Milano, entrando contemporaneamente a far parte della Cappellini Spa occupandosi sia di progetti che di direzione creativa.
Le due anime del giovane Cappellini, aziendalista e creativa, lanciano sul mercato il brand rendendolo sinonimo di innovazione, arte e funzionalità. Numerosi i prodotti Cappellini nelle Collezioni Permanenti dei principali musei del mondo di arte contemporanea.
Dal 2004 la Cappellini spa entra a far parte del gruppo di aziende del quale fanno parte Poltrona Frau e Cassina, gestite da Charme, fondo di investimenti gestito dalla famiglia Montezemolo, e Giulio continua ad occuparsi personalmente della direzione del brand, dal prodotto all’immagine.
Cappellini è inoltre Art Director dell’ azienda leader dell’arredo bagno Ceramica Flaminia, di Alcantara e di Ridea. Visiting professor di molte facoltà di architettura, organizza eventi tra cui il ‘Temporany Museum for Design’ per Superstudiopiù a Milano.
Noi fremiamo per incontrare Giulio Cappellini e voi? Continuate a seguirci qui!
Essere al MAXXI fa sempre il suo effetto, la grande e alta hall polifunzionale crea un effetto estraniante e al tempo stesso familiare, ci dirigiamo verso l’Auditorium, grandi scale di parquet in mogano ed eleganti poltroncine nere, prendiamo posto ed aspettiamo finalmente di conoscere Cappellini.
Cappellini ha ultimamente collaborato con il museo romano sviluppando il tema del design contemporaneo in mostra al MAXXI nella sala Carlo Scarpa, progetto ricerca e sperimentazione per il museo e l’azienda. Cappellini come architetto, art director ma anche scopritore di talenti.
Ecco la prima domanda di Pippo Ciorra, moderatore di questa serata
– Come le nuove tecnologie hanno influenzato recentemente il design?
Le nuove tecnologie hanno un ruolo fondamentale dalla progettazione alla comunicazione del design. L’elemento fondamentale nonchè valore aggiunto è sicuramete la velocità. Usate le tecnologie ma continuate a sporcarvi le mani. Quando ho frequentato l’università di architettura ho avuto la possibilità di collaborare con Giò Ponti, e sporcarmi le mani nel suo studio mi ha insegnato tantissimo. L’importante è non diventare schiavi della tecnologia, prima si fanno i prodotti e poi i progetti, ciò è assolutamente fondamentale, è importante lavorare a fondo, materialmente sul design. Spesso mi capita di vedere render bellissimi, forme curve al limite delle possibilità, ma un divano ha delle cuciture, e la tecnologia non può togliere assolutamente la materialità del prodotto.
– Mi piace affondare il coltello in questa questione, il design per il computer, per ‘arte grafica, oggi il designer assomiglia all’idea di Gary oppure al grapich designer, sintetizzatore di creatività?
Sono assolutamente convinto che il designer appartenga alla prima idea di Gary. Calarsi in tutte le fasi della progettazione è fondamentale. I principali designer con i quali lavoro fanno un uso davvero limitato della tecnologia.
Dobbiamo tornare a far grandi progetti, si riscoprono archetipi degli anni ’50 assolutamente innovativi. E’ davvero fondamentale fare progetti controllati e seri, poche cose ma fatte bene, è l’atteggiamento che cambia, se penso agli anni ’80 in cui i designer davano grandi segni, idee che trovavo imprenditori, come me ad esempio. Oggi si sta progettando con una diversa maturità non solo per la produzione in serie, siamo in un museo e questo è esplicativo, avere dei progetti consapevoli, funzionali e belli che siano anche opere d’arte, che facciamo sognare, è un nuovo approccio che ha cambiato l’idea del design negli ultimi 20 anni.
– Creatività, concretezza, tecnologie, quanto la formazione universitaria è cambiata o no rispetto al design contemporaneo?
Si dice spesso che all’estero sul design si dà una formazione molto pratica e precisa rispetto all’Italia. Io odio le generalizzazioni. Credo che nel mondo della formazione in Italia siano stati fatti dei passi da gigante, e che molto ancora c’è da fare. Un giovane designer italiano ha un peso culturale di ‘padri architetti’ che non si può ignorare rispetto a un designer neozelandese. C’è una maggiore volontà nelle università di guardare alla storia a questa eredità culturale.
Se un giovane designer crede di poter fare un prodotto e di diventare famoso e ricco, sbaglia, c’è molta sofferenza dietro questa carriera, molte rinunce e molti fallimenti preliminari.
– Grande tuo merito riconosciuto è stato quello di lavorare proprio con i giovani e di averli scoperti
Per me è stato sempre fondamentale il confronto con i giovani, anche perchè obiettivamente i giovani d’oggi mi incuriosiscono, hanno molto da dire e io ho voglia di ascoltarli. Quando iniziai a lavorare negli anni ’80 con i giovani, ciò che mi ha spinto a cercarli e a dialogare con loro è l’innovazione. Ogni paese ha la sua storia, i paesi che hanno un maggior peso storico nel design hanno dei giovani che devono portar avanti un’eredità e questo non è da poco.
Ecco il momento delle domande dal web siete emozionati???
– DesignMag: Come si fa a coniugare l’aspetto “imprenditoriale” dell’essere a capo di un’ azienda leader del mercato e l’aspetto “creativo” del designer? Accade che uno di questi due aspetti prevalga sull’altro?
La mia concezione di progetto e di design è a 360°, essere l’anima imprenditoriale dell’azienda porta solo ad una maggiore consapevolezza del prodotto e dell’idea.
– Cosa pensa del ‘design di massa’ come quello lanciato da IKEA?
IKEA non ha lanciato il design di massa. Portare il design al grande pubblico è lavorare sul marketing, e questo è il punto, ultimamente ho incontrato l’amministratore delegato di IKEA e ne abbiamo discusso. Come dicevo prima, rendere democratico il design è un fatto fondamentale. Esiste una nuova libertà del consumatore finale, che mixa ciò che più gli aggrada. Il pubblico è davvero il consumatore finale, odio l’autoreferenzialità di alcuni designer e ciò fa la differenza tra il buono e il cattivo progetto
– ELMACO: Quale prodotto della concorrenza invidia, quale avrebbe voluto progettare lei?
I prodotti che più invidio sono spesso disegnati da miei designer, come Jasper Morrison per Flos.
– Come i grandi talent scout, Cappellini ha cercato nel mondo i grandi designer, essendo un imprenditore designer ha cercato il confronto?
Guardarsi con ironia è il fulcro della mia attività. Molti colleghi mi dicevano, vuoi ammazzare il design italiano. Invece ho cercato di creare un grande contenitore di emozioni e di progettualità, legati dal filo rosso del prodotto finale, in modo tale da avere un grosso confronto con culture concepite come opposte alla nostra, come la cultura cinese, nella quale sta nascendo un’importante generazione di designer.
– E’ possibile un ritorno di gusto post-modernista oppure è un bluff? Penso alla tua poltrona Prusk e a una mostra a Londra che ho visto ultimamente, quando c’è di vero in questo revival?
Ritengo che il post-modernismo sia nato come una rottura, e che la libertà di creare che oggi abbiamo sia frutto di questo. Spesso sento dire che il minimalismo è morto, eppure se vedo un’opera di Fronzoni io mi emoziono, per questo credo che mai nulla muore ma si rigenera e viene reinterpretato.
– A quale delle sue opere si sente più legato?
Più che legarmi a un oggetto io mi lego spesso ai progetti. Sono molto legato al progetto in collaborazione con il MAXXI su Alcantara, per me è stato un progetto corale, vissuto dall’inizio alla fine in modo globale, e queste sono le cose che ti rimangono nel cuore. Quindi non mi lego all’immagine del prodotto piuttosto alla storia che c’è dietro. Quindi potrei direi che questo progetto di Alcantara ha segnato per me un progetto molto bello, che ha rappresentato un modo di lavorare sereno e non isterico.
– Quanto l’arte contemporanea ha influenzato il suo modo di lavorare?
In modo abbastanza assoluto, io adoro Basquiat, nelle sue opere voleva riprodurre i disegni dei bambini, ne rimango affascinato. La voglia di stupire con grande ironia, nelle opere di Basquiat io vedo Castiglioni. E ammiro Fontana, il togliere, l’essenzialità è un’arte oltre che un’esperienza.
– Ha mai disegnato oggetti per le telecomuncazioni?
Oggi fare design è tanto disegnare una bottiglia quanto un cellullare. Per me questa è una cosa straordinaria. Negli anni ’50 si pensava ai frigoriferi, agli elettrodomestici come nuovi campi del design in cui cimentarsi. Adesso è il mondo delle telecomunicazioni, e lo trovo molto interessante e sarà un’occasione che non perderò.
L’eclettico Cappellini è in realtà assolutamente coerente nelle sue idee.
– Alcantara, design della materia piuttosto che dell’oggetto, cosa vuol dire questo per un designer?
Tutti i materiali sia naturali che artificiali, hanno delle proprietà fondamentali da dover conoscere, qualsiasi materiale ha una grossa espressività insita nella specifica materialità. Alcantara è questo, non si può fare design senza passare per la fabbrica, infatti il progetto con Alcantara è partito proprio con una visita in azienda. Capire il materiale è la base del progetto, cercando di andare oltre le barriere ipotetiche che possono essere erette a seconda del punto di vista sul prodotto.
– Quanto conta la distinzione attuale nella formazione universitaria tra design e architettura? Lei è un nostalgico della ‘figura unica’?
La specializzazione è importante, fondamentale. Ma esistono bravi architetti ottimi designer e viceversa, il salto non è comunque facile e comporta delle grandi differenze. Una maggiore specializzazione è assolutamente importante, credo che il design ha davvero tantissimo da fare, nel mondo la conoscenza del design è in realità ancora molto limitata, proporre la bellezza di un prodotto è fondamentale. Se parliamo troppo del progetto allora forse non convince nemmeno noi, essere specializzati abbassa la soglia di ‘errore’ in questo settore.
– DesignMag: Quali le tendenze dei prossimi anni?
In passato era più facile delineare un trend, adesso molto meno, molto è più legato alla libertà del consumatore finale. Fare oggetti che tengano conto del diverso tipo di approccio alla vita moderna. Le persone che adesso si avvicinano al design sono cittadine,vivono in 80 metri quadrati, è importante progettare in scala ridotta, anche perchè l’attenzione al dettaglio è sicuramente maggiore. Non voglio essere un nostalgico, ma inventare delle forme più belle di quelle inventate negli anni ’50-’60 non è assolutamente facile, ciò che è possibile è reinterpretare, reinventare pensando ai nuovi materiali. Per la tendenza del colore, non è vero che si ritorna al colore full degli anni ’80, ma ad un colore che davvero entri in armonia con gli ambienti piccoli ed equilibrati. La mia tendenza futura è quella di sempre, creare un oggetto per il quale la gente pensi ‘oddio non posso vivere senza’.
– E’ stato mai attratto dall’urban design?
L’urban design è strettamente legato all’identità della città. Progettare in modo tale da creare città duty farm è orribile. L’occhio alla storia del luogo dove gli oggetti vengono inseriti è fondamentale.
– DesignMag: Cosa pensa dell’eco-design e della moda del riuso?
Il tema del riuso deve essere affrontato seriamente, non può e non deve essere una moda. Non basta usare un materiale eco-sostenibile o eco-compatibile, ma progettare dei cicli di lavoro sostenibili in tutti i sensi. E anche in questo caso tutto cambia da luogo a luogo, noi progettiamo con i materiali delle culture, delle realtà e credo che questo sia la chiave del concetto di eco-design. Spesso c’è un scollamento tra le varie figure coinvolte nella produzione del prodotto su questo tema. Io voglio propormi in prima persona come una figura di svolta, di collante tra ricerca, studio e produzione sull’eco-design, dal momento che non è sufficiente realizzare un oggetto con materiali riciclabili.
– Nell’arte è difficile attualmente identificare dei gruppi, delle tendenze, molto di ciò che viene creato è individuale, esiste la stessa tendenza nel design?
Generalmente è così. Ma nel momento in cui il designer collabora con un’azienda, con un brand, deve crearsi un rapporto forte e intenso di identità della marca e del progetto. Il confronto è fondamentale ma con concomitanza di intenti in questo caso. Non dimentichiamoci che il fenomeno del design italiano è nato negli ani ’50 con grandi scontri e incontri, esistono ed esisteranno per sempre personaggi che creano al di sopra del possibile, ma il dialogo con gruppi, con la storia è fondamentale, sopratutto adesso che la tecnologia permette il confronto continuo con qualsiasi luogo e storia.
– Usa il web come strumento per coinvolgere i designer?
Per quanto in parte anti-tecnologico, utilizzo assolutamente strumenti social per scoprire nuovi talenti, ciò è però imprenscindibile dall’incontro face to face, dalla stretta di mano e dal guardarsi negli occhi.
– Investire su i giovani paga? La sua azienda è entrata in crisi in un periodo e molti additarono la responsabilità a questi investimenti.
Non cambierei assolutamente nulla dei processi e dei progetti che ho portato avanti, non parlerei di crisi quanto piuttosto di mercato, che per forza di cose si espande sempre maggiormente, ed è importante avere una propria identità in questo mega flusso. Il piccolo di certo non paga, oggi diventa fondamentale avere una massa critica importante.
– Secondo lei quanto il web influenza il design?
Credo che ci sia molto da fare nel web designer, molti siti sono terribili. Ad ogni modo l’importante è avere un’idea forte e concreta alla base, di certo il web non influenza piuttosto informa il design grazie alla velocità di connessione.
– L’artigianato che ruolo ha e può svolgere nel design italiano?
In Italia l’industria non esiste senza l’artigianato, spesso abbiamo artigiani molto più capaci di 10 ingegneri. Oggi l’artigianato deve mixare la sapiete mano con la tecnologia, mi auguro che si possa fare molto per l’artigianato italiano, assolutamente da aiutare perchè non in grado di autopromuoversi.
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