[galleria id=”3727″]Vale la pena parlare di questo progetto, che come tanti altri ha inglobato designer di fama internazionale, facendo di una tradizione ricca di materiali, intrecci e influenze culturali un marchio; Domo e con esso un iterior senza tempo, confermando la tendenza dei designer di punta dalla vocazione internazionale; quella di attingere dalle varie culture come fonte di ispirazione e creare pezzi che si adattano a luoghi senza tempo e questo ne valorizza la differenza estetica.
Un progetto che nasce negli anni cinquanta con il nome di Isola e che si é delineato grazie all’intervento di un gruppo di artisti capeggiati dallo scultore Eugenio Tavolara, che già allora veniva presentato grazie ad una serie di mostre biennali, molto seguite dalla stampa internazionale e sostenuto da Gio Ponti sulle pagine di Domus.
Un innegabile successo che ha subito una pausa negli anni settanta per la mancanza di una direzione artistica che mantenesse una produzione di eccellente livello, unica prerogativa del suo esistere.
Mi piace sottolinearne la storia che conferma la visione e l’avanguardia degli anni cinquanta con l’allora progetto Isola, oggi recuperato e rinnovato anche nel nome; Domo ma con le stesse prerogative. Un progetto che porta la firma di celebri designer internazionali come James Irvin, Ugo La Pietra, Paolo Ulian, Setsu & Shinobu Ito, Su Mamuri, Salvatore + Marie, Tomodo Mizu, Gianfranco Pintus e moltissimi altri per un “work in progress” a conferma che la cultura ancestrale di qualsiasi paese, é la miglior musa ispiratrice e che la “fusion” di culture e retaggi, non possono far altro che dare vita a pezzi davvero inconsueti, che sembrano usciti dalla terra, sbucati dalla roccia o emersi dal mare.
Designer le cui radici sono diversissime fra di loro e che hanno potuto sperimentare la grande ricchezza di fantasticare per poi trattare le influenze di cui é impregnata la Sardegna, ed elaborare infine, i materiali più svariati e tipici di questa regione, dal forte sapore decorativo e creare pezzi dalle forme libere da ogni definizione o collocazione.
Ferro, tessitura, ceramica, raku, fibre sino ad arrivare alla rielaborazione del sughero che compatto, con il suo inconfondibile color champagne viene lavorato e curvato per dare vita a poltrone dalle forme ovali o ricoprire la seduta di sgabelli in ferro battuto a mano.
Domo ci offre così una continuità ed evoluzione, che possiamo ammirare nelle nuove produzioni, regolarmente esposte alla Biennale dell’Artigianato Sardo e che ultimamente hanno riscontrato un grande successo presso i creativi e art director dei negozi più rinomati di oltre oceano, nell’esposizione del Fuori Salone 2011.
Domo significa casa, che nel linguaggio di questa cultura dalle molteplici influenze, viene associato ad un concetto di casa semplice ma ricco di una sapienza estetica distillata nei secoli. Dal ricordo di questo “spazio” essenziale ma non minimalista, scaturisce un progetto che ne ripropone non tanto le forme, ma la logica; offrire un filo conduttore alla lettura dell’elaborazione artigianale per poi collocarla in un contesto capace di farne saltare l’indubbia bellezza estetica.
Una rievocazione quindi e un’idea di Sardegna che si sposa in modo molto riuscito ad un’idea di contemporaneità; uno stile che traspare calore e memoria, eleganza storica ma resa attuale, e molta manualità che rende la vastità di questa collezione molto inconsueta.
Ma ciò che lo rende ancora più speciale ai miei occhi è che in un tempo dove abbiamo spesso bisogno di definire le tendenze per creare i temi e poterli trattare come tali, Domo non si rende disponibile ad essere definito o inserito in un cliché ma preferisce inoltrarsi oltre i confini immaginativi e dare vita, partendo dalla ritualità ancestrale, a forme che appartengono al mondo “tout court”, e anche un po’ all’arte.