“Today, we see very talented, intelligent designers who use their skills to create useless products which are developed not to help people but to put money in the pocket of companies, and to take money out of the pocket of ‘a target consumer’. It’s a very cynical way to work and done with greed and no respect. We need to design things […] more social. And, yes, we need to produce less.”
(Philippe Starck)
Milano e il Salone del Mobile. Once again. Anno 2015. Dal 1961, anno della prima edizione, ad oggi di acqua ne è passata davvero tanta sotto i Ponti* del design. Ecco perché ci è sembrato opportuno iniziare questo scritto con una dichiarazione di Philippe Starck, designer controverso, controcorrente, contromano. Amato. Odiato. Mai banale. Dalla sua affermazione si potrebbero senza dubbio estrarre le parole chiave del design del futuro, quello del dopo 2.0.
Nelle sue parole c’è un desiderio di “voltar pagina” non molto gradito alle designer-star di oggi. Leggendo le sue frasi, le aziende potrebbero trarre utili indicazioni su quale direzione dare al loro sviluppo prossimo venturo. Starck arriva a proposito, come spesso gli accade. E lancia il suo messaggio che sembra destinato a una città in particolare: una città che vedrà fiorire in pochi mesi, all’interno del suo perimetro di forza, eventi importanti come Salone del Mobile e Expo: Milano.
Una Milano che in Aprile ospiterà il Salone Internazionale del Mobile: prodotti, aziende, designer, addetti ai lavori, studenti, curiosi, amanti. Una Milano che da Maggio ospiterà EXPO: Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita; 20 milioni di visitatori attesi. Una Milano che se non riesce a cogliere in tempo gli avvertimenti sopra-scritti nell’introduzione di Starck, rischia di avvitarsi su sé stessa fino allo spasmo, in una spirale fatta di autocompiacimento che è tanto bella quanto pericolosa. Milano e il suo hinterland sono la forza motrice di fenomeni quali design, moda e cibo. Da sempre. E tali possono restare. A patto di non indugiare troppo nel guardarsi allo specchio. Anzi.
Milano deve difendere le storiche pre-esistenze, roccaforti di una cultura che non va dimenticata, accogliendo e mettendo in luce tutto quanto è fresco, spontaneo, nuovo. Piace pensare a una Milano in cui le vecchie trattorie, spacciatrici ancor oggi del migliore risotto con l’ossobuco, ospitano ai loro tavoli intelligentissimi designer digitali non più abituati a certi sapori-profumi. Piace pensare a una Milano in cui “Social” sia un progetto pragmatico, dedicato agli anziani, nato da una piattaforma creata in rete. Piace pensare a una Milano in cui lo “street-food” sia messo a disposizione di chi ne ha bisogno per sopravvivere grazie a una serie di informazioni disponibili a tutti in un sito del Comune.
Piace pensare a una Milano che, come sempre, accoglie, nutre, migliora. Ecco il perché di questa guida “sui generis”: per far conoscere Milano come avrebbe fatto Picasso: guardandola da più punti di vista.
A Voi la gioia di usufruirne. Come più vi pare e piace.
*ogni riferimento a Giò Pionti non è casuale.
METROPOLITANA MILANESE ~ 1962 – 1964 ~ Franco Albini – Franca Helg
Un dettaglio che si incontra spesso viaggiando per Milano, in modalità sotterranea. Un particolare che ancor oggi fa la differenza, nella sua lineare e geniale semplicità. Stiamo parlando di un corrimano colorato. Del corrimano arancione che scorre lungo la linea 1 della metropolitana milanese. Della sua curvatura alle estremità, che è diventata la “chiave riconoscibile e riconosciuta” del progetto di Franca Helg e Franco Albini per la metropolitana milanese, un progetto datato 1962-1964. Il corrimano diventa un tubolare avvolgente e sensuale, che accompagna le mani di milanesi, visitatori e turisti verso le loro prossime destinazioni metropolitane. Un tubolare, un disegno morbido, in curva, a regalare sicurezza ai viaggiatori urbani confidando nell’intelligenza di un design tanto discreto quanto di classe.
(attenzione: per arrivare al Salone del Mobile in metropolitana è necessario comprare un biglietto speciale che vale fino alla fermata di Rho-Fiera. In caso contrario, con il biglietto normale, i controllori vi aspettano all’uscita (in massa) per multarvi con gioia)
PANETTONE ~ Metà anni 80 ~ Enzo Mari
Forse, anzi sicuramente, l’oggetto di design più odiato dai milanesi. Chi ci “sbatte contro” con la macchina perché “non si vede” dato il suo “mimetico colore grigio”; chi lo farebbe “saltare con la dinamite” quando gli impedisce di parcheggiare nell’unico posto possibile nel raggio di chilometri e chilometri, chi prova a usarlo come “dura seduta” in caso di estrema stanchezza e mancanza di panchine salvo poi verificarne sulla sua pelle la pericolosa e maligna scivolosità. Stiamo parlando del progetto del “maestro” Enzo Mari, un dissuasore fatto di ben 100kg di cemento, studiato apposta per la città di Milano. Negli anni il progetto di Mari è stato rivisto e corretto svariate volte. Ci piace ricordare, fra le altre, il panettone-pinguino colorato dall’artista Pao e il panettone morbido e accogliente progettato da Giulio Iacchetti a nome Bard.
(la pipa Radica Chic disegnata da Giulio Iacchetti per Savinelli potrete osservarla nel negozio Savinelli in Via Orefici 2)
LOVE SNOWBALL ~ 2014 Cattelan per Seletti
La rivoluzione, presentata in un’innocente “boule de neige”. A Milano. Ad opera di Maurizio Cattelan. Artista che, dopo avere impiccato in città tre bimbi appendendoli alla più vecchia quercia di Milano, rende omaggio, once again, al capoluogo lombardo con una “ripresa” della sua additata scultura posta ormai in veste definitiva proprio di fronte alla Borsa di Milano. Un dito verso l’alto, a guardare il cielo. Il dito medio, bianco, ritto. L.O.V.E. il nome dell’opera. Un saluto fascista le cui dita vengono mozzate ad eccezione del dito di mezzo, componendo così un nuovo messaggio, lavorando di sottrazione. Il tutto viene poi ridimensionato di scala e impacchettato in bolla trasparente con tanto di neve a scendere delicatamente da un presupposto cielo. E così, improvvisamente, tutti gli altri “souvenir de Milan” scompaiono,in un battito d’ali, lasciando spazio e proscenio a chi davvero merita.
(spazio Rossana Orlandi – via Matteo Bandello, 14-16 – …da Marjan e Van Aubela a Umzikim passando per Gufram, quando il confine arte – design è difficile da individuare)
IL “BICCHIERONE” DEL NEGRONI SBAGLIATO ~ Anni 60 ~ Mirko Stocchetto
Esisteva il cocktail Negroni. E la provenienza era toscana, a quanto narra la leggenda. Poi arrivò Mirko Stocchetto, che inventò il Negroni sbagliato. E fu aperitivo, a Milano. Dagli anni 60 in poi. Il tutto presso le mura dell’ormai storico Bar Basso. Qui nasce in pratica tutto quello che oggi si vede e si beve sotto il nome di cocktail. E qui, soprattutto, rimane intatta la tradizione. Ancora oggi, ordinando qualcuno degli storici cocktail, di cui “Lo Sbagliato” è icona assoluta e intoccabile, si può godere del privilegio del “bicchierone”. In cosa consiste? Presto detto. È un bicchiere “extra-size”, un glass XXXXL, un monumento di vetro spesso. All’interno del quale viene versata una dose, anch’essa “XXXXL” di “sbagliato”, dose alcolica che viene rinfrescata dal ghiaccio. Ghiaccio che, se nei bicchieri degli altri bar è chiamato “cubetto”, nel caso del Bar Basso può essere tranquillamente definito “iceberg”. Del resto, anche il ghiaccio, al Basso, è XXXXL! Come la qualità.
(A15 , in via Marsala, 4, è il posto giusto dove poter ammirare e comprare I bicchieri SMOKE GLASS disegnati da Joe Colombo nel 1964)
INSEGNA PLASTIC ~ 1980 ~ Nisi-Guiducci
Una semplice insegna al neon: colorata, allegra, viva. Un’insegna che è stata come un faro nelle notti milanesi. Un’insegna che ha guidato persone di ogni genere verso la danza intelligente del più famoso locale milanese: il Plastic! Ovunque, nel mondo, la parola Plastic è sinonimo di musica, libertà, stile, intelligenza, visionarietà. This is Plastic! Questa è la storia. Nel dicembre del 1980 Lucio Nisi (ancor oggi “il Boss”) e Nicola Guiducci (ancor oggi “IL Deejay!”) danno vita al Plastic. Tutto il resto, da quel momento in poi, sarà solo noia. Al Plastic arriveranno e balleranno Madonna, Keith Haring, Prince, Grace Jones, Vivienne Westwood e chi più ne ha più ne metta. Nel 2012 la storica insegna, insieme al locale, si è trasferita: da viale Umbria a via Gargano. E con l’insegna, si è trasferita anche l’anima Plastic, più viva e danzante che mai!
(Designersblock Milan Edition 2015, questo il nome da cercare nelle guide più o meno ufficiali durante il Salone di quest’anno per godersi una sana ventata d’aria fresca e intelligentemente rivoluzionaria)
MICHETTA ~ 1700 circa ~ Maestri Panificatori Milanesi
La michetta. Detta anche “rosètta”. Un vero e proprio simbolo di Milano fino a qualche decennio fa. Poi, improvvisamente, insieme ai panettieri indigeni, è scomparsa anche lei. Michetta, forma di pane soffiato, dalla crosta leggera e croccante e dall’interno miracolosamente vuoto. La michetta è un po’ il Duomo di Milano che si fa pane. Anche la michetta ha le sue guglie, ben cotte, dorate, solitamente in numero di cinque, che ascendono al cielo, dai lati. La michetta, il cibo dei lavoratori, a Milano. Imbottita di mortadella, salame o prosciutto cotto: semplice, essenziale, storica. La “michèta”, equivalente povero e asciutto della “schiscèta”. Ma quanto era buona la michetta!!! E aveva una caratteristica, la vera michetta di una volta: andava mangiata in fretta, appena sfornata, pena il perderne la tipica consistenza croccante. Anche per questa sua “velocità”, la michetta era il perfetto pane simbolo di “quel che l’era un Gran Milan!”
(Mica, corso di porta ticinese 50, il posto a Milano dedicato alla vecchia e cara michetta di una volta. Prosciutto cotto, gorgonzola, nutella e altro. Old school bread)
FONTANELLE ~ 1920-1931 in poi
Sempre aperte, 24/7. Sempre a disposizione, 24/7. Sempre dissetanti, 24/7! Simbolo e sinonimo di efficienza milanese, le fontanelle sono uno degli oggetti di design più utili e più riconosciuti del capoluogo lombardo. Sono in 400 o 500 circa. Dislocate ovunque. Democraticamente. All’antica. Vengono chiamate “draghi verdi” o “vedovelle”. “Draghi verdi” per via della testa di drago in ottone da cui sgorga l’acqua e per via del colore verde che ricopre la ghisa con cui sono fatte; “Vedovelle” perché, come amavano dire i “nonni” della vecchia Milano, “piangono sempre lacrime!” La prima “vedovella” realizzata è quella che si trova in Piazza della Scala, che è in bronzo, ed è datata 1920. Le altre sono invece realizzate in ghisa, seguendo sempre lo stesso disegno e le stesse misure, dal 1931 in poi. Per l’utilizzo, mettere un dito dove esce l’acqua, a impedirne la fuoriuscita, e attendere che l’acqua zampilli nuovamente verso l’alto dall’apposito foro posizionato sulla testa del drago!
(molte fontanelle sono presenti nei meravigliosi e defilati “Giardini della Guastalla”, uno di quei posti in cui abbandonarsi con piacere al verde di Milano nelle sue varie forme scultoree)
IL BISCIONE
Lo si vede spesso, per non dire ovunque. Lo si vede in contesti molto diversi fra loro e in forme materiche molto differenti. Si tratta del “biscione milanese”. Il biscione che ingoia un fanciullo è stemma dei Visconti, che diventarono Signori di Milano a partire dal 1277, trasmettendo così il simbolo all’intera città, e quindi al Ducato. Con l’avvento degli Sforza, il Biscione fu mantenuto come simbolo, fino a essere riutilizzato nello stemma del Regno d’Italia Napoleonico e, infine, inquartato al leone di San Marco, nello stemma del Regno Lombardo-Veneto. A detta di molti, il bambino che pare essere “ingoiato” dal serpente, potrebbe invece essere proprio rappresentato nell’atto di “nascere” dal biscione, serpe rappresentante la fertilità terrestre. Il biscione è simbolo di Milano, dell’Internazionale Football Club, dell’Alfa Romeo e anche di Fininvest.
(museo Poldi Pezzoli, via Manzoni, 12. Dal giorno 1 Aprile, oltre a visitare il museo, che è già una bella occasione, si può vedere il mondo con occhi diversi all’interno della mostra Geografie)
OSSOBUCO CON RISOTTO
Il garretto culinario della tavola milanese. Il piatto doppio servito fumante. La sintesi della milanesità. Si parte dal risotto. Il risotto giallo. Tra le ricette è quella che più rappresenta la tavola di Milano. La ricchezza e il potere si manifestano mettendo in tavola il colore dell’oro. Oro, ricchezza, potere: rappresentati nel piatto dal costoso zafferano o dalla foglia d’oro del celebre chef Marchesi. Il risotto giallo allo zafferano è il segno di una borghesia che non teme rivali, è il piatto dell’operosa e discreta Milano. Un piatto da degustare in silenzio, nei nascosti giardini meneghini. A questo risotto occorre aggiungere l’ossobuco (fette spesse 3 o 4 centimetri ricavate dalla parte superiore della gamba del vitello; la parte chiamata garretto) con il suo midollo. E si raggiunge l’estasi, la perfezione, l’alto dei cieli culinario. Buon appetito, design!
(ristorante L’Altra isola, via Edoardo Porro, 8. Il posto in città dove potersi rilassare per de-gustare in silenzio tutte le specialità della cucina milanese. Ossobuco con risotto come must)
TRAM
La parola Tram ha origine nel 16° secolo. Deriva dal linguaggio in uso nei territori “medio basso tedesco” e “medio olandese”, più specificamente dal termine TRAME (sorta di carretto per venditori). Ai primi del 900 la parola è diventata sinonimo del carrello a ruote parallele usato nelle miniere per l’estrazione del materiale, carrello sulla falsariga del quale, utilizzando lo stesso concetto di ruote parallele su rotaie, si è arrivato al moderno disegno del TramWay, veicolo a trazione elettrica per trasporto di passeggeri (tram) su rotaia in ambito cittadino (way), oggi conosciuto ai più con l’abbreviativo di Tram. A Milano ne esistono di tutti i tipi, di tutte le dimensioni e di tutti i materiali. Gialli, ma soprattutto verdi. Quel verde Milano di cui la città ama dipingersi quando vuole far bella mostra di sé.
(queste le zone del Fuori Salone 2015: Brera, Tortona, Lambrate, San Babila, 5vie Sarpi Bridge, Porta Venezia, Sant’Ambrogio. A voi la scelta!)